domenica 4 febbraio 2018

Il primo amore, il suo dolce inganno e la libertà.


Il primo amore è un’enorme bugia.
A questo punto, conquistata questa consapevolezza, dovremmo tutti fare pace con l’incontrovertibile seguente verità: il primo amore è un comodo nascondiglio dalla realtà, nel quale troviamo facile riparo per giustificare la nostra infelicità.
In altre parole, il primo amore è la nostra coperta di Linus, ovvero l’oggetto transizionale che aiuta il bambino nella fase di sviluppo dell’io e di differenziazione dalla madre. Il bambino lo sceglie autonomamente tra mille. Non importa quanto gli altri giocattoli siano costosi, scintillanti, nuovi e con più possibilità di gioco, il bambino compie la sua scelta in maniera naturale, dando retta alla sensazione che quell’oggetto gli trasmette. Qualcosa che sa di morbido e caldo, qualcosa che sa di mamma. È una fase delicata così come delicato, è l’intero processo di crescita e di distacco dalla madre, ma alla fine il bambino si emancipa dalla sua copertina e si lancia nella vita. Nel corso del suo viaggio quel bambino, incontrerà molti altri simboli totem, che l’aiuteranno a comprendere meglio la sua identità e la sua storia, ma nessuno eguaglierà il sentimento di appartenenza e di unione che nutriva per quella copertina. Le mie amiche mamme sapranno dirvi se sbaglio.
Di fronte al primo amore però alcuni di noi, si comportano come un bambino con un patologico attaccamento alla sua copertina. Non riusciamo a lasciarlo andare e ci aggrappiamo alla sua realtà simbolica, con la medesima tenacia con cui il celebre personaggio dei Peanuts trascina dietro di sé la sua copertina.
Ecco, quando la vita si fa vera le relazioni si fanno adulte e richiedono la nostra partecipazione attiva con una serie di prese di posizione, alcuni di noi corrono a rifugiarsi nel ricordo del primo amore. Uno schema mentale altamente adolescenziale, una ridicola illusione che se la nostra vita non è la favola che ci eravamo raccontati sarebbe stata, è perché abbiamo incontrato il primo nel momento sbagliato, troppo presto, troppo tardi, non ancora. Quindi, restiamo lì, in quel patetico gioco alla sliding doors, ve lo ricordate il film? Quanti di noi hanno pensato che quel film fosse la copia carbone delle nostre vite? Il destino che si beffa della nostra vita, della nostra favola.
Voglio la favola! Voglio la favola! Voglio la favola! E nel frattempo, mettiamo in standby il cuore perché se l’amore che ho di fronte non è assolutamente perfetto, allora non mi scomodo nemmeno a viverlo! E lì restiamo, in attesa di un sentimento che ci risolva la vita. Mi domando, non è follia questa? Preferiamo ciondolare in un’esistenza di infelicità e vuoti emotivi piuttosto che costruire qualcosa che ci ricordi che siamo vivi e che siamo capaci, come il resto della popolazione mondiale, di amare.

Invecchiamo e ci aggrappiamo alla nostalgia del se ipotetico.
Tutti quei se avessi potuto, voluto, dovuto tesi al sole, come panni ad asciugare, col loro profumo di pulito e di nuovo.
Godiamo della malinconia delle aspettative che ci sembrano sempre più promettenti della realtà e non ci rendiamo conto di quanto sia l’aspettativa stessa, un tranello.
Infatti, solo chi non agisce è al sicuro dall’errore. Analogamente, solo coloro che non ci vivono, non ci possono deludere. C’è forse, qualcosa di romantico in tutto questo che mi sono persa? Non credo. È, a ben guardare, un atteggiamento vigliacco che ci intrappola e ci fa ricurvare su noi stessi, tagliandoci fuori dal mondo che ci circonda e, di conseguenza, da ogni possibilità di essere felici. Scriviamo canzoni, libri e film sulla ricerca spasmodica della felicità e poi la rifuggiamo. Che esseri buffi siamo. Vero?
Vivere l’illusione del ricordo del primo amore ben oltre i 30 è solo l’ennesimo tentativo di auto sabotaggio. Il tiro mancino che giochiamo a noi stessi, perché quando al panno verde chiedono l’all-in, tu hai, l’impellenza di cambiare carte. Ancora una volta. Finisce così che nelle tue partite non “vedi” mai. Arriva sempre qualcun altro a vincere il tuo piatto. Non è vero?

Il primo amore è la scusa delle scuse, il tentativo, un po’ egoista, di impedire a noi stessi di essere felici. Conosco un uomo che potrebbe raccontarvi quale perversa campionessa io sia, a questo gioco. Ci vuole costanza a mandare tutto all’aria. Sempre. La buona notizia è che sto cercando di cambiare. La cattiva, è che non so, se durante il tragitto, mieterò altre vittime.
Sto cercando di cambiare. È vero. Lo giuro, perché, alla fine dei conti, al netto della paura di mettermi alla prova, quindi al netto di me, se è vero che siamo la somma delle nostre paure e delle nostre speranze, non mi restava altro che un desiderio irrealizzato, un’aspettativa mancata. Non potevo mai dire, -“almeno ci ho provato”. Sì, perché se c’è una cosa che ho capito alla soglia dei 36 è che restare, non significa quasi mai provare. Sono rimasta in quasi tutte le mie relazioni a lungo, molto, ma molto più a lungo di quanto in verità, ci fossi stata. Erano relazioni fantasma, tutte erano destinate a perire perché, indovinate? In nessuna di queste, c’era lui. Il mio primo amore. Ho trascorso gli anni della mia educazione sentimentale, costruendo un ideale irraggiungibile e poi lo distruggevo, in un ciclo infinito di Eros e Thanatos. Amore e morte, tutto e nulla. Un ideale inarrivabile anche a sé stesso. Lo so, sembra un paradosso. La verità, che prima mi era oscura e che ora, invece mi è chiara, è, che negli ultimi dieci anni, se anche il mio primo amore si fosse ripresentato nella mia vita, non l’avrei fatto entrare e lui non mi avrebbe riconosciuta così, col cuore tutto chiuso che mi ritrovo. E perché mai? Qualche ammaccatura qui e lì e questo, mi ha davvero consentito di arrendermi? Come mi si potrebbe mai amare in queste condizioni? Chi potrebbe mai imparare a conoscermi, tutta raggomitolata su me stessa, con in testa un’illusione vecchia venti anni?

Conosco molte di voi che si comportano come me. Murate in sé stesse. Che si raccontano la storia del ricaricare il cuore. Che ti dicono-“ sono in sciopero del sentire”. Sono stata, siamo state, in sciopero per davvero un tempo interminabile. Come è successo che siamo arrivate a 36 anni, col cuore pieno di piombo?
Siamo tazze vuote, di quelle che si usano per la prima colazione, con la scritta “Fill me up”, riempimi e, diamine bimbe, già questo è sbagliato. Riempimi tu. Pensa tu a me. Demandiamo ad altri, quello che dovremmo fare noi. Renderci pregne, (sarà un caso che, per gli animali, ingravidare si dica rendere pregna)? Unità piene. Quando, invece, l’unica possibilità contemplata, dovrebbe essere, bastare a noi stesse. Da sole. Tutte intere. Integralmente tutte e, a volte, fermarci a guardare il fondo profondo dei nostri vuoti, come fossero fondi di caffè, leggervi il nostro futuro. Fare la loro amicizia. Tenerli stretti come un souvenir dal passato e ricordare, che in quanto tale, non potrà mai offrirci nulla di nuovo. Quindi, attraversare le tempeste che abitano i nostri golfi interni. In altre parole, aprire il nostro cuore al modo indicativo, tempo presente. L’unico che conta, l’unico che veramente ci meriti e, in quel presente, accogliere le infinite possibilità che abbiamo di amare, non già come abbiamo fatto durante il primo amore, ma infinite volte meglio. Con la nozione del sé e di quello che ci accade.

Il primo amore è un inganno. Ci racconta che nulla e nessuno potrà mai eguagliarlo. Agli inganni, puoi decidere di resistere. Ma hai bisogno di una rete di salvataggio, come Ulisse con le sirene, che lui voleva ascoltarne il canto, e i suoi uomini lo legarono e remarono più forte che potevano. Ecco, il mio consiglio in tal senso, è che vi circondiate di una rete sociale forte. La mia, è indistruttibile, tutte donne titaniche.

Il primo amore è una bugia. La mia, è rimasta appiccicata alla mia anima, per diciassette lunghissimi anni. Il ricordo quasi beatificato di un uomo che, da adulto, non conosco nemmeno. Cioè, magari è uno stronzo, per dire. E invece, è pure un tipo intelligente, sportivo e di classe. Della serie, non mi faccio mancare niente. Eppure, quanto era rassicurante, sapere che una parte del mio cuore, sarebbe rimasta, per sempre, preservata dalla possibilità di soffrire per un amore sbagliato? Quanto era più semplice, rendere una parte di me inespugnabile? Spesso ho creduto che l’incantesimo del primo amore fosse finito. A volte l’ho sperato. Ma una parte di me, restava sempre al sicuro. Ho dato la colpa a lui, poverino. Ho dato la colpa ad un sentimento troppo profondo per una poco più che liceale. Ho dato la colpa a mio padre, che per un po’ è stato per me, ciò che i Templari erano per Eco: quelli che c’entrano sempre. Non volevo vedere, non volevo accettare di non essere ancora pronta. Sono diventata madre e non ero ancora pronta. Ho messo fine al mio matrimonio e non ero ancora pronta.
E poi, come in tutti gli incantesimi, qualcuno, un giorno tira il grilletto e lo sono, pronta.
La bellezza, invece, è iniziata quando ho cominciato a scegliere di amarlo, ogni giorno.
E no, non mi è dato sapere nulla del domani e sì, resto un mistero anche per me, ma a ben guardare, non mi serve, se la sua mano è nella mia, io salto, io mi risolvo. E tanto basta, perché è vero, il primo amore è dolcissimo, ma è l’ultimo quello che conta, e a questa mano, non ho paura, chiamo l’all in.

Nessun commento:

Posta un commento