lunedì 5 marzo 2018

Di Londra, Alice e il Bianconiglio.

A Gatwick, l’aria taglia il viso e ti ricorda che sei viva, il volo è andato bene. Anche questa volta sei al di qua del mare.
Londra è un luogo fisico, una città camaleontica, un angolo di pianeta in cui, in effetti, trovi tutto il mondo, ma Londra è, più di tutto, il luogo del mio cuore. Quel posto dentro me che resta immutato dove accartocciarmi in pensieri indissolubilmente felici, quando tutto intorno, invece, crolla e accade spesso, che io costruisca e veda crollare. Sono fatta così, impiego la medesima forza nel costruire e nel distruggere. Dico sul serio, a volte ho pensato di avere un super potere perché, chi altri è così matto, cieco, o più semplicemente, così idiota da volere e respingere contemporaneamente una cosa, una persona, un luogo? La paura di vivere, che qualcuno molto più profondo e illuminato di me chiamava il male di vivere, è in me così radicata, che nemmeno l’idea di realizzare un sogno tanto grande, al quale sono così affezionata, come appunto vivere a Londra, ha mai potuto smuovermi dal porto sicuro in cui mi trovo. Accadeva così che, negli anni, tutti passavano, sostavano o rimanevano a Londra, tutti tranne me.

Per lunghissimo tempo, ho tenuto la mia vita in standby, proprio per questo motivo. Aspettavo il coraggio necessario a vivere perché, alla fine dei giochi, di questo si trattava. È l’iperbolica questione del leone contro l’agnello, non possiamo farci molto. A un certo punto è giusto abbracciare la propria natura. Di giustificazioni me ne sono date a vagonate, ma dentro me, sapevo che la verità è che c’è chi ha coraggio e voglia di vivere e di esplorare e chi, invece, non ce l’ha. Lo chiamano il gene del viaggiatore. Verosimilmente io faccio parte dei secondi e per quanto sia più poetico additare il fato, è pur vero, che a te stessa, non dovresti mentire. Come si dice, in un mondo di approssimazioni e bugie almeno a te resta fedele, giusto? E, invece, di bugie a me stessa ne dico molte. Non ho gran rispetto di me, delle mie emozioni e non ascolto il mio cuore con la dovuta attenzione. Mai. Perché devo correre, devo arrivare presto, devo essere amata, devo dimostrare quale splendore io sia. Che sono un castello addobbato a festa, che sono un luogo incantato in cui farti godere delle meraviglie della vita quando la verità, è che sono feccia, altro che castelli e corti e grandi feste. Un’illusionista se credete, o forse, solo una bugiarda patologica. Londra è un pò così. Chi la conosce lo sa. È nobilissima e miserabile nell’arco di un giro del London Eye. Se l’enneagramma della Gestalt potesse essere usato sulle città, lei sarebbe un due, il suo profumo di casa, me lo racconta sempre. Regale ad ogni passo, ad ogni angolo. Una nobildonna sul baratro della follia, il cappello da cerimonia e la veletta a coprirle lo sguardo pieno di lacrime per l’ennesimo amore finito male. La ami e la odi in egual misura. Ma Londra, è anche il colore dei matrimoni indiani di Bricklane col profumo della via del curry. È il tè delle cinque con il latte, che tu pensi che ti farà schifo e, invece, ti ritrovi a berlo tutti i giorni. Passano gli anni, diventi intollerante al latte vaccino e ti reinventi nel Chai latte alla soia. Londra è la musica punk che esce anarchica da qualche sottoscala di Camden, il mercatino antiquario di Portobello al sabato mattina nella bella Notting Hill, quella del film dove Julia Roberts molla Hollywood per il ciuffo fluente e l’accento sexy del bel Hugh Grant. Londra è poter mangiare la pizza napoletana da Michele. Londra è arrivare lì neo laureata, avere paura del mondo, incontrare un gattino randagio e metter su famiglia con lei (vero, Stefania?). Londra è diventare donna e decidere che quella è casa tua da adulta (vero, Claudia?) Vivere in un flat con persone provenienti da diversi continenti, cenare una sera portoghese, una sera sudanese, una sera italiano perché tanto siete tutti in casa insieme. È trovare un giardino segreto mentre ti dirigi a lavoro, vederlo fiorire in primavera e sentire che tu e la città siete diventate amiche. Londra è guardare la partita in un pub con l’amico musulmano che prega Allah che faccia vincere il Barca, mentre l’amico napoletano impreca e chiede aiuto a San Gennaro per proteggere la rete degli azzurri, avendo la matematica certezza che nessuno si offenderà. Londra è affascinante e discreta, chiassosa e silenziosa, da bosco e da riviera come dicono in Toscana. Per questo è un due. Te ciacca e t’ammereca come diciamo a Napoli, per questo, è l’amante perfetta. É il mio metro di paragone, come quei fidanzati che ti restano dentro, che tutti quelli che seguiranno dovranno reggere il confronto. Roba che New York è stupenda, ma Londra… solo la mia Napoli può reggere il confronto, ma nell’aggettivo mia vi ho già spiegato il motivo, o no?

In un pub seguo le indicazioni per i servizi igienici delle donne, mi ritrovo in una parte della struttura molto più vecchia, di circa mezzo metro più bassa, devo, infatti, inclinare la testa per proseguire. Quando la rialzo, sono Alice nel mezzo del paese delle meraviglie, avete presente quando incontra lo stregatto e gli chiede indicazioni, ve lo ricordate quel passaggio?
-“che strada devo prendere”?
-“dove vuoi andare”? fu la risposta di lui
-“non lo so” rispose Alice
-“allora” disse il gatto “non importa”

mi risveglio nel mezzo della mia ricerca proustiana. Non lo so. La drammatica verità della mia vita è questa. Non so dove voglia andare e non ho la minima idea di chi io voglia essere.
Cosa voglio fare da grande? Ma soprattutto, quando diventerò grande?
Ho quasi trentasei anni. L’età, dicono, è un numero, ma più mi guardo intorno, più scopro che, nel mio caso, questa storia dei numeri è particolarmente vera, mi seguite?
Quelli della mia generazione sanno di cosa sto parlando. Non nascondiamoci. Ci chiamano picky, non hanno capito che siamo solo confusi. Siamo spaventati e se posso dire la mia, abbiamo ogni cazzo di diritto di esserlo. Ci hanno scaraventato in questo mondo nel pieno dei fallimenti dei loro sogni e poi si disperavano del nostro cinismo e del nostro sarcasmo.

Personalmente, sono ancora più figlia di quanto mi senta madre. La sera quando vedo la mia mamma ho bisogno che mi stringa e in quell’abbraccio mi faccia sentire perdonata di essere la frana che sono. Eppure sono sei anni, che mi esercito a fare la mamma e sì, per ora sono ancora persa nel mare delle indecisioni croniche: dovrà mettere il cappello? Ci sarà troppo vento? Se la mando a scuola con la tosse sono una madre degenere? Ma se mi separo e poi rendo noto a mia figlia di sei anni che ci si può rinnamorare e poi scoprire, ancora, che l’amore non è abbastanza per vivere, minerò per sempre la sua fiducia nei rapporti di coppia? Cose semplici, insomma. Domande alle quali è facile rispondere, direi.
Vorrei essere spietata. Mi correggo, vorrei piantarla una buona volta di essere spietata solo con me stessa e iniziare ad esserlo con chi mi circonda e pretende che io sia perfetta come si aspetta. Non lo sono. Non sono perfetta. Sono la brutta copia del tema. Tutta cancellata, piena di digressioni e frasi al margine.
Diamine, come vorrei essere mia madre. Non potrò mai spiegarvelo. La mia mamma è una che la vedi e vuoi essere lei, non ci sono cazzi. Sono cresciuta con l’idea che avesse la verità in tasca e il verbo sotto la lingua, poi, per carità, alla mia età, probabilmente, brancolava nel buio al mio pari (ne dubito) ma lo faceva con una classe e un ingegno che la gente non poteva non cadere ai suoi piedi e, amici, lo facevano credetemi. Una, cazzo, di, regina. Io sono Alice, invece. Pigra, svogliata sui libri, incostante, capricciosa e perfettamente in grado di inseguire un coniglio col panciotto e l’orologio a cipolla più grande di lui, senza pensare che l’inseguimento non le porterà di certo nulla di buono per poi ritrovarsi a piangere. Sono cresciuta con Alice, come lei mi faccio rapire dai colori e penso poco all’essenza. Nulla è come appare. È il mio mantra, ma poi mi distraggo e cado nel vecchio errore di sempre. Sono sempre alla ricerca del dannato bianconiglio. Non c’è tana in cui non cerchi di scovarlo; ecco le tane in questione, mi riportano in tondo sempre a Londra. Anche oggi. Trentasei anni, una figlia a carico, un cane e un cuore appesantito. Sono di nuovo qui a guardare questa spaventosa città negli occhi. Ancora faccia a faccia col mio bianconiglio e lui, ancora sfugge. Mi porta in tondo, senza via di uscita. L’unica differenza è che, ve l’ho detto altrove in qualche altro post, sono diventata consapevole.

Oggi, posso in tutta onestà dire di essere consapevole di non sapere.

Ho trentasei anni, me lo ripeto, così magari la smetto di farmi sconti. È ragionevole pensare che non diventerò una scrittrice di successo. Raggiunta questa consapevolezza, dovrei sentirmi libera e scrivere per il puro piacere di farlo, giusto? Bé, non è così. Ancora scrivo nella speranza che il bianconiglio smetta di sfuggirmi. Ancora lo faccio con quella vocina dentro me che sussurra:-“Ah, scrivi? Che carina! E poi che lavori fai”? Il lavoro è fatica. Il lavoro deve affaticare, per questo a Napoli lo chiamiamo ‘a fatic.
Ho da fare i conti con l’affitto anche io e quando non è l’affitto è il senso di colpa calvinista che mia madre mi ha inculcato. Sono cresciuta in una famiglia nella quale si vive per lavorare. Il lavoro nobilita l’uomo e gli apre le porte del paradiso, poco conta che gli schiuda l’inferno in terra. Non mi aspetto che il lavoro mi porti piacere, insomma. Sono sempre stata convinta di essere destinata a qualcosa di gigantesco, ultimamente, ho il terrore che questo qualcosa sia accaduto e io non me ne sia accorta. O così, oppure sono davvero destinata ad essere una persona normale, dalla vita normale e, non me ne vogliate, ma non sono ancora pronta ad accettarlo.
Oggi, mia sorella maggiore mi ha scritto una cosa molto bella, mi ha detto dimenticati un po’ del tuo dolore e lasciati andare. Salta. Avrei voluto dirle che sono ossessionata dai salti. Che salto di palo in frasca, ma che lo faccio per le motivazioni sbagliate. Che non sono una che salta per il brivido dell’ignoto e dell’adrenalina, ma perché ho il terrore di fermarmi e sentire di nuovo la terra venirmi meno sotto i piedi. Che salto perché se salto, non mi prendi e se non mi prendi, non mi freghi. Salto perché se salto devo stare attenta a non cadere e, allora, ho ancora il tempo necessario a non guardare in faccia la realtà: che non so come fare a vivere. Che sono sempre sull’orlo del baratro, con troppe parole da dire e poco ordine mentale per raccontarvele tutte. Che vorrei smettere di guardare la donna che sono allo specchio e trovare un essere umano equilibrato che sa tenere la sua merda sotto controllo, come una quasi trentaseienne, dovrebbe saper fare.
Che salto e sono sempre maledettamente nuda davanti a tutti voi, che sono perennemente senza speranza alcuna nel futuro e che, nonostante tutto, sono ancora qui a scrivervi di me, perché lo devo fare, scrivo per non morire. A voi sembra esagerato, di base lo è, ma ho provato a lungo a non scrivere e me ne morivo ogni giorno un po’. Salto, sono sempre allo scoperto e sul cuore ho un bersaglio gigantesco che urla spara qui! Salto solo in una direzione in avanti e aspetto di tornare al punto di partenza per fare meglio il mio gioco. Salto perché ce la faccio sempre, alla fine. Sono come quei bicchieri da rum che non cadono mai a terra. Salto perché ho un terrore paralizzante della vita, ma piuttosto che ammetterlo mi strapperei un rene e, allora, salto.
Invece, alla fine, l’ho ringraziata e le ho detto che mi ha risolto il finale del post.
Che è pure una dichiarazione d’amore se mi si conosce.

Poi, oggi mi sveglio in un giorno in cui Salvini può diventare il nuovo Premier del mio amato Paese e, allora, mi dico che questo è un buon motivo per espatriare, ma che, in fondo, anche Alice, alla fine, si sveglia del suo sogno.

Inspiro
Espiro
E chiudo forte gli occhi.

1 commento:

  1. Non credo mai che ci sarà mai una soluzione al mio problema relazionale con il mio amante. il mio amante chiamato Randy West mi ha buttato fuori da casa sua e ha portato un'altra signora che ora sente l'unico migliore per lui. fino a quando un giorno ricevo una telefonata da un amico della città che il mio uomo esce per un appuntamento con un'altra donna in città, le ho detto che anch'io sono sorpresa, perché da quando Randy West mi ha lasciato a sentire non penso e non chiamano me. così dopo alcuni giorni la mia amica chiamata Alice mi ha chiamato e mi ha detto che ha trovato un uomo molto potente, ed è un grande erborista africano, davvero tutti sappiamo che gli africani sono benedetti con così tanti poteri a base di erbe che usano per aiutare molte persone, così mi ha detto che il nome dell'uomo è Dr Wealthy che inoltrerà il suo indirizzo e-mail per contattarmi, così davvero mi ha mandato l'indirizzo email di Wealthy e l'ho contattato quel giorno fedele . mi ha spedito dopo un po 'che il mio uomo tornerà da me se solo credo nel suo lavoro, così dopo 48 ore ricevo una telefonata da Randy West, e ha iniziato a chiedere l'elemosina che avrei dovuto perdonarlo contro tutto ciò che aveva fatto per io ... mi ha implorato di spezzarmi il cuore e lasciare che l'altra donna avesse un cuore nuovo. mi promette di non lasciarmi mai andare. ora io e Randy West stiamo pianificando di sposarci il prima possibile. siamo portati indietro con il grande incantesimo d'amore potente e accecato dall'incantesimo Dottor Wealthy, siamo felici e contenti. contatta Dr Wealthy su questo indirizzo di posta elettronica wealthylovespell@gmail.com puoi anche contattarlo tramite whatsapp su +2348105150446 per la soluzione a qualsiasi tipo di problema tu abbia.

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